Storie d’acqua, lavoro e comunità

La costruzione del Naviglio Martesana fu cruciale per lo sviluppo economico e sociale del territorio, grazie a soluzioni tecniche all’avanguardia. Lungo il suo percorso furono realizzatequattro conche di navigazione, una caratteristica inedita per l’epoca a testimonianza dell’ingegno della scuola idraulica milanese e lombarda. 

Queste conche non solo facilitavano la navigazione superando i dislivelli delle acque a monte e a valle, ma contribuirono anche a plasmare un paesaggio unico, un vero ecosistema lavorativo, scandito dai mestieri legati all’acqua e dalla navigazione commerciale: dai barcaioli ai campari (i manutentori delle conche e delle rogge), dai contadini ai mugnai. Questo dinamismo ha lasciato un’eredità culturale e architettonica ancora oggi visibile lungo le sponde del naviglio. 

EPISODIO 1
DA CASSINA DE POMM’ A CRESCENZAGO

Il primo episodio del podcast ripercorre il Naviglio Martesana da Greco a Crescenzago, raccontando la sua storia attraverso commerci, antiche tradizioni, ville aristocratiche, trattorie popolari, testimonianze storiche e curiose invenzioni nate lungo il corso d’acqua.

LEGGI LA TRASCRIZIONE

C’è un corso d’acqua che scorre silenzioso nella zona nord-est di Milano. Unisce quartieri e borghi, attraversa epoche, custodisce storie. È il Naviglio Martesana.
Questo è C’era una volta il Naviglio Piccolo, un viaggio che ci porterà alla scoperta di un lato meno conosciuto di Milano, quello che si riflette nelle acque tranquille del Martesana, o Naviglio Piccolo, come lo chiamano i milanesi.
Ma cos’è e cosa è stato davvero il Martesana? Una via di commercio? Un luogo di villeggiatura fuori porta? O forse un archivio a cielo aperto della memoria urbana?
Che siate degli habitué del quartiere di Milano, che stiate pianificando la vostra prossima gita lungo il naviglio o… che siate semplicemente appassionati di storie, questo podcast ci aiuterà a conoscere meglio questo vivace angolo di Lombardia! 

Siete pronti? Partiamo! 

C’è stato un tempo in cui Milano era attraversata dai navigli, una fitta rete di corsi d’acqua diramata su tutta la città, dove scorrevano chiatte e barche che trasportavano merci e persone. Oggi, a memoria di questi antichi canali, restano nella zona sud della città il Naviglio Pavese e il Naviglio Grande, conosciuti per la movida; mentre l’area nordorientale è attraversata dal più tranquillo Naviglio Martesana.

Venne costruito a partire dal 1457 dalla Scuola Idraulica Lombarda per irrigare Il Comitatus Martexana, terre agricole che all’epoca non facevano parte del Comune di Milano, ma che si trovavano nelle sue immediate vicinanze. Nei secoli successivi il Naviglio Martesana è stato usato anche per il trasporto di materie prime provenienti dalle valli alpine. Attraverso di esso arrivavano a Milano imbarcazioni come cagnoni, mezzane e borcelli, cariche di carbone, legname, sabbia, gesso e ferro. Tutto ciò che serviva ad una città in espansione.

L’equipaggio era formato dal paron, che era il proprietario della barca, e da due aiutanti che, con lunghi timoni mobili a barra, guidavano le imbarcazioni lungo il canale. Per velocizzare il viaggio venivano spesso usati i cavalli che trainavano le barche dalla riva, questi erano indispensabili quando occorreva risalire la corrente a monte per caricare nuove merci.

Per secoli il Martesana è stato il cuore della vita economica e sociale: un canale animato da barche e lavoratori. Oltre ai paroni, c’erano i campari, addetti alla gestione delle acque, manovali, mugnai, agricoltori, proprietari terrieri e lavandaie che andavano al canale per lavare i panni. Un’operazione che richiedeva diversi passaggi: unendo acqua, cenere, pianta saponaria e carbonato di sodio preparavano la lisciva, un composto che veniva versato sulla biancheria e strofinato su un’asse di legno detta brellin. Eravamo ben lontani dalla comodità delle lavatrici.

Fin qui, la storia in breve del nostro canale. In questa puntata e nei prossimi episodi del podcast, proveremo a percorrerlo per approfondirla, sia attraverso le testimonianze che ancora rimangono, sia rievocando ricordi di cui non restano più tracce.

Il nostro percorso inizia a Greco, un tempo Comune autonomo, adesso quartiere a nord-est di Milano. Qui la vita sociale si svolgeva intorno alla Cassina de’ Pomm – la cascina della famiglia Pomi, un luogo dove tutt’ora le persone si incontrano per bere una birra all’ombra del glicine, le cui fronde si specchiano nelle acque del naviglio. Dalla cascina sono passati contadini e viandanti, ma anche figure storiche come Napoleone, Garibaldi e intellettuali come Carlo Porta, Stendhal, Cesare Beccaria. Nelle giornate più movimentate poteva capitare che le chiacchiere fossero interrotte dal rumore di un duello: nel boschetto retrostante la cascina, gli uomini si sfidavano a colpi di spada al primo sangue per regolare i conti dai motivi più futili, dalle rivalità amorose a quelle politiche o d’onore.

Fu proprio da Greco che, a partire dal 1840, iniziarono a passare le prime locomotive dirette verso Monza. Dalla Cassina de’ Pomm si poteva assistere a uno spettacolo inedito: due locomotive, battezzate Lombardia e Milano, percorrevano la tratta con quattro corse giornaliere, andata e ritorno. Alla velocità mozzafiato di circa 40 km orari, gli avventori della cascina vedevano sfrecciare davanti ai loro occhi l’arrivo di una nuova era, fondata sul progresso.

Seguendo il naviglio verso est e attraversando tutto il quartiere di Greco, si arriva a Gorla. A fine Ottocento, questo tratto del Martesana era noto come la Piccola Parigi, per via delle numerose ville dove i signori trascorrevano la villeggiatura. Forse la più famosa è stata Villa Angelica, della quale non rimane più nulla, ma che in quegli anni aveva ispirato la fantasia di tutti i passanti con la sua architettura esotica: il tetto spiovente a pagoda, i curiosi pinnacoli del tetto e, soprattutto, una torretta a loggia colonnata che svettava su tutto.
È invece ancora presente Villa Finzi, il cui parco costeggia il Martesana al di là del muro di cinta che fronteggia via Tofane. Un edificio in stile neoclassico, dove nel 1828, il conte ungherese Giuseppe Batthyany organizzò un ricevimento per il principe Ranieri d’Asburgo-Lorena e la Principessa Elisabetta di Savoia Carignano, in occasione del loro passaggio a Milano dopo le nozze celebrate a Vienna.

Ville eclettiche e neoclassiche, ricevimenti regali e testimonianze storiche si fondono in questo tratto del Martesana. Ma non mancavano certo le trattorie nelle quali gli avventori più umili si accalcavano per un bicchiere. Tra le più note c’erano la Trattoria Vecchia di via Pontevecchio, l’Osteria della Rotonda di via Finzi e la Trattoria Zanfrini di via Tofane. Lì si poteva gustare il caviale di Milano: nervo di ginocchio di manzo finemente tagliato e condito con cipolle crude, olio e sale. Sempre qui mosse i primi passi il celebre Teatro Zelig, che ancora oggi propone una ricca rassegna di spettacoli comici e cabaret.

Passarono i brindisi e le villeggiature, il Novecento portò il progresso, ma anche la guerra. Dopo il secondo conflitto mondiale, Milano era da ricostruire: abitazioni, fabbriche, luoghi di culto. Insieme alle strutture, si volle salvare pure la memoria. Dal parco di villa Finzi, in meno di dieci minuti di camminata si arriva in Piazza dei Piccoli Martiri, dove un monumento di Remo Brioschi ricorda il bombardamento del 20 ottobre 1944, che colpì una scuola causando la morte di 184 bambini e 14 insegnanti. Una madre sorregge il figlio senza vita e una scritta ammonisce i passanti: “Ecco la guerra”.

Proseguendo per 500 metri sulla pista ciclabile che costeggia la sponda sinistra del naviglio si arriva al Parco Martesana, un’area verde che si estende per diversi ettari all’interno di Milano. Un tempo all’entrata del parco si trovava la prima piscina all’aperto della città, conosciuta come il Bagnin de Gorla. In realtà si trattava solamente di uno slargo della roggia. Oggi la roggia è stata coperta, ma il parco continua ad essere un luogo di aggregazione. Guardandosi intorno non si direbbe nemmeno di trovarsi a Milano, c’è chi legge un libro seduto su una panchina all’ombra di un albero e chi invece ne approfitta per fare jogging. Qualcuno si è organizzato per fare un pic nic e i bambini giocano sulle altalene. La sera nell’arena del parco si tengono anche eventi e spettacoli organizzati dall’associazione culturale Nuovo Anfiteatro Martesana, che qui ha la sua sede.

Usciti dal Parco, senza lasciare mai il naviglio si arriva nel quartiere di Crescenzago, un tempo sede di piccoli stabilimenti industriali. Il Martesana è stata, infatti, un’importante risorsa per le aziende: vi erano officine, laboratori, fabbriche e fabbrichette che sfruttavano la forza dell’acqua per azionare gli impianti al proprio interno. Una delle storie più golose è quella del signor Macchi che nel 1843 rilevò una fabbrica di cioccolato e la trasferì a Gorla, nella vecchia Cascina Quadri, affacciata proprio sul naviglio. Pare che da lì si spandesse un profumo irresistibile di cioccolato. Perfino a me che lo racconto viene l’acquolina in bocca!

All’altezza del ponte di via Adriano, se si gira a destra e s’imbocca via Berra, ci aspetta un salto nel medioevo. In questa parte di Milano si conserva l’Abbazia dei Canonici Lateranensi, fondata intorno al 1140. Un luogo austero, ma vivo per secoli. Poco più avanti, accanto alla chiesa di Santa Maria Rossa, sorgeva invece l’antico complesso dei monaci agostiniani che venivano chiamati rocchettini per via del rocchetto, una toga di lino bianco indossata sopra una tonaca di lana altrettanto bianca. Li immaginate? Silenziosi e indaffarati lungo il naviglio, immersi nei ritmi della vita monastica.

Tornando sul corso del canale, all’altezza del ponte di Crescenzago, si trova villa Lecchi. Una dimora del XVIII secolo appartenuta a Jacopo e Carla Lecchi che, nel 1816, ospitarono l’imperatore Francesco I d’Austria e la sua consorte. Pare che l’imperatore gradì talmente tanto la cotoletta alla milanese servita a cena che ne chiese la ricetta – sarà stata questa l’origine della Wiener Schnitzel?

Qualche decennio dopo, nel 1875 l’imprenditore Enrico Mangili convertì villa Lecchi a stamperia di stoffe. Un impianto moderno per quei tempi: aveva un motore a vapore da 5 cavalli. Sul lato che guarda il naviglio, i segni della vecchia ruota motrice sono ancora ben visibili.

Mangili però è passato alla storia per un’invenzione ben più curiosa: i coriandoli!
Questi all’inizio, non erano altro che scarti di carta bucata, usata per le lettiere dei bachi da seta. Ma da dove viene il nome “coriandolo”? Prima della carta, a Carnevale si lanciavano veri semi di coriandolo, ricoperti di zucchero. A quei tempi infatti, la pianta era molto diffusa nelle campagne attorno a Milano.

Attualmente una parte dell’antica villa Lecchi ospita l’associazione culturale Villa Pallavicini che dal 1996 organizza eventi, incontri e progetti culturali. Un modo per tenere viva la memoria e dare nuova linfa a questi luoghi.

Adesso però è arrivato il momento di salutarci. Il nostro viaggio continuerà nel prossimo episodio, nel quale continueremo a seguire il corso del canale fino a Cernusco sul Naviglio, scoprendo cosa può rivelarci il Martesana oltre i confini di Milano.
Vi aspettiamo lungo il naviglio!

Avete ascoltato “C’era una volta il Naviglio Piccolo”, podcast realizzato da AT Media S.r.l. in collaborazione con l’Ecomuseo Martesana nell’ambito del progetto “ECOSISTEMA DIGITALE MARTESANA: TRA MEMORIA, INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ”.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio, musica e postproduzione a cura di eArs. 

Si ringrazia la Regione Lombardia. Iniziativa realizzata con il contributo del Programma FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale di Regione Lombardia 

EPISODIO 2
DA CRESCENZAGO A CERNUSCO SUL NAVIGLIO

Nel secondo episodio il racconto lungo il Naviglio Martesana prosegue da Crescenzago a Cernusco sul Naviglio, esplorando antiche filande, corti agricole, ville nobiliari e luoghi di devozione, attraversando così memorie industriali, tradizioni rurali e prestigiose architetture storiche. 

LEGGI LA TRASCRIZIONE

C’è un corso d’acqua che scorre silenzioso nella zona nord-est di Milano. Unisce quartieri e borghi, attraversa epoche, custodisce storie. È il Naviglio Martesana.
Questo è C’era una volta il Naviglio Piccolo, un viaggio che ci porterà alla scoperta di un lato meno conosciuto di Milano, quello che si riflette nelle acque tranquille del Martesana, o Naviglio Piccolo, come lo chiamano i milanesi.
Ma cos’è e cosa è stato davvero il Martesana? Una via di commercio? Un luogo di villeggiatura fuori porta? O forse un archivio a cielo aperto della memoria urbana?
Che siate degli habitué del quartiere di Milano, che stiate pianificando la vostra prossima gita lungo il naviglio o… che siate semplicemente appassionati di storie, questo podcast ci aiuterà a conoscere meglio questo vivace angolo di Lombardia! 

Siete pronti? Partiamo! 

Il nostro cammino lungo il Martesana riprende proprio da dove ci eravamo fermati: sulla Riviera di Crescenzago, a pochi passi da Villa Lecchi. In questo tratto l’acqua del canale scorre accanto a edifici che conservano le tracce del passato produttivo del quartiere.

Nella seconda metà dell’Ottocento, l’acqua era una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’industria e fu proprio il Martesana ad attirare l’imprenditore Luigi De Ponti, che nel 1855 acquistò una villa affacciata sul Naviglio – quella che ancora oggi si trova al civico 42 di via San Mamete. Approfittando della vicinanza al canale, De Ponti impiantò nel giardino della villa una filanda e due anni più tardi ottenne il permesso di installare una grande ruota idraulica che sfruttasse la corrente del canale. Nel giro di qualche decennio, divenne uno degli stabilimenti più attivi della zona. Nel 1896 contava 96 bacinelle per la lavorazione della seta, una motrice a vapore e una ruota di nove metri di diametro: il continuo movimento dell’acqua scandiva i ritmi della giornata e del lavoro. Oggi la vecchia filanda ospita magazzini e officine, ma camminando lungo la Riviera potrete ancora sentire, tra cortili silenziosi e capannoni riconvertiti, l’eco di quel passato produttivo.

Pochi chilometri più a est entriamo a Vimodrone. Un tempo era un piccolo centro rurale, nato intorno a un sistema di corti. Le corti erano nuclei comunitari specializzati in un particolare mestiere, come la Curt dei Magni, con il suo caseificio, o la Corte del Farinello, dove si trovava un mulino. Qui il tempo era scandito dalla stagionalità dei lavori agricoli e dalla vita condivisa. Le famiglie vivevano attorno a cortili e ballatoi, luoghi d’incontro dove si intrecciavano lavoro e relazioni sociali. In autunno, alla Curt dei Magni, facevano ritorno i pastori dall’alpeggio, portando con sé bestiame e storie, odori di montagna e tradizioni. Tracce di un’economia collettiva che ancora sopravvive nella memoria.

In questa zona non mancano neanche le leggende, come quella che racconta del passaggio di un comandante del duca Massimiliano Sforza lungo la strada di Vimodrone. Pare che  nel 1515, alla vigilia della battaglia di Marignano, tale comandante fece voto di costruire una cappella se fosse tornato salvo. La battaglia contro le truppe francesi fu una disfatta, ma anni dopo, nel 1524, nello stesso tratto di strada nacque comunque un luogo di devozione: la Cappella di Santa Maria Nova del Pilastrello, che custodisce un affresco della Madonna col Bambino attribuito alla scuola del Luini o del Bergognone. Vale la pena fermarsi, entrare e lasciarsi avvolgere dalla memoria di questi luoghi.

Proseguendo verso Cernusco sul Naviglio, il paesaggio cambia. Il canale si apre su campi e cascine, molte delle quali a corte chiusa. Immaginate un quadrato protetto da muri su tutti i lati; la corte racchiudeva case, stalle, fienili, magazzini. Il lavoro della terra e la vita quotidiana si svolgevano in un sistema ordinato, regolato dai ritmi agricoli. Le abitazioni erano semplici: una cucina e una camera da letto, rivolte spesso a nord.

Fino a metà Settecento, la campagna padana era organizzata secondo il sistema della colonia: le terre venivano suddivise in poderi e affittate a famiglie contadine in base alla loro forza lavoro, in cambio, queste versavano canoni in natura e in denaro, allevavano bachi da seta, lavoravano a stretto contatto con il fattore. Questo modello, insieme ai cambiamenti nelle tecniche agricole, portò alla diffusione della grande cascina isolata, abitata da oltre cento persone, con spazi condivisi e servizi comuni. Nelle corti le famiglie vivevano in stretta comunità, condividevano il lavoro e i momenti rituali. Gli uomini erano nei campi dall’alba al tramonto, mentre le donne, finite le faccende, sedevano fuori casa sulla cadreghèta per rammendare, lavorare a maglia, preparare il corredo. A dicembre si uccideva il maiale: un giorno di festa sempre molto atteso. La sera si recitava il rosario, d’estate all’aperto e d’inverno nella stalla, che diventava luogo di raduno e di racconto. Le corti erano mondi chiusi, ma vivi.

A cambiare, insieme al paesaggio, è anche la terra. A nord nell’alta pianura padana il terreno è ghiaioso e permeabile; mentre a sud, nella cosiddetta “bassa”, è ricco di limo e argilla, adatto all’irrigazione e ai raccolti. Nell’alta pianura si affermò la piccola proprietà, mentre nella bassa dominavano le grandi cascine e il sistema della colonia. Con l’inizio del Novecento, tutto cambiò: la mezzadria lasciò spazio alla piccola proprietà e nelle corti iniziarono a vivere famiglie operaie, estranee al mondo agricolo.

Dopo questa lunga passeggiata tra memoria agricola e industriale, siamo arrivati a Cernusco sul Naviglio. Qui il Martesana scorre tra alberi secolari e ville nobiliari. Il Parco dei Germani si estende per oltre 174.000 metri quadrati di verde che si affacciano sul canale. Alle due entrate del parco sono stati realizzati due ponti, uno girevole e l’altro levatoio per favorire un auspicabile ritorno alla navigazione. Camminando qui, si respira un’aria di quiete e bellezza, interrotta solo dal rumore delle ruote delle biciclette.

All’altezza del ponte girevole, sulla sponda sinistra del Naviglio, si costeggia il parco di Villa Alari Visconti, una delle più importanti ville di delizia della zona. Si chiamavano così le residenze estive della nobiltà, solitamente situate in campagna o lungo corsi d’acqua, non lontano dalla città e pensate per il riposo e lo svago. Costruita nei primi decenni del Settecento, villa Alari è un elegante esempio di barocchetto lombardo. All’interno l’edificio conserva affreschi della scuola tiepolesca, con scene mitologiche e allegoriche che celebrano la vita agreste e la cultura dell’aristocrazia colta. Nel tempo la villa ha ospitato personaggi illustri, come l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e governatore della Lombardia, e durante la dominazione austriaca fu soprannominata “la piccola Versailles” per la ricchezza delle decorazioni. Oggi la villa, pur non essendo sempre accessibile al pubblico, ospita eventi culturali e rimane un punto di riferimento per la città.

Proseguendo verso il centro di Cernusco, si raggiunge Villa Biancani Greppi, ora sede del Comune. Risalente anch’essa al Settecento, la villa in stile neoclassico è circondata da un ampio giardino pubblico. Un tempo dimora privata di famiglie borghesi, l’edificio è uno spazio aperto alla cittadinanza nel quale si celebrano matrimoni, si tengono consigli comunali e mostre temporanee.

E poi, più a ovest, accanto all’attuale pronto soccorso, troviamo Villa Uboldo. Costruita tra Sette e Ottocento, prende il nome dal benefattore Ambrogio Uboldo, che lasciò in eredità l’edificio affinché vi fosse fondato un ospedale. E così fu. Villa Uboldo è un raro caso di architettura nobiliare trasformata in luogo di assistenza pubblica. Ancora oggi, camminando tra i viali alberati che la circondano, si percepisce quel legame profondo tra memoria, cura e appartenenza al territorio.

Cernusco sul Naviglio è una cittadina vivace, attraversata da piste ciclabili, costellata di spazi verdi, dove il naviglio è parte della quotidianità. Qui si pedala, si corre, si chiacchiera, si vive. E il Martesana continua a scorrere, silenzioso ma presente, a ricordarci che il tempo cambia i luoghi, ma la memoria resta.

Nel prossimo episodio lasceremo Cernusco per inoltrarci ancora più a est, lungo il corso del naviglio, alla scoperta di altri borghi, altre storie.

Vi aspettiamo lungo il naviglio!

Avete ascoltato “C’era una volta il Naviglio Piccolo”, podcast realizzato da AT Media S.r.l. in collaborazione con l’Ecomuseo Martesana nell’ambito del progetto “ECOSISTEMA DIGITALE MARTESANA: TRA MEMORIA, INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ”.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio, musica e postproduzione a cura di eArs. 

Si ringrazia la Regione Lombardia. Iniziativa realizzata con il contributo del Programma FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale di Regione Lombardia 

EPISODIO 3
DA CASSINA DE PECCHI A GESSATE

Nel terzo episodio, il viaggio lungo il Naviglio Martesana riprende da Cassina de Pecchi, attraversando luoghi ricchi di storia, tra borghi medievali, tradizioni agricole e leggende locali, per arrivare infine a Gorgonzola, con le sue origini storiche e le tradizioni legate alla produzione del celebre formaggio omonimo. 

LEGGI LA TRASCRIZIONE

C’è un corso d’acqua che scorre silenzioso nella zona nord-est di Milano. Unisce quartieri e borghi, attraversa epoche, custodisce storie. È il Naviglio Martesana.
Questo è C’era una volta il Naviglio Piccolo, un viaggio che ci porterà alla scoperta di un lato meno conosciuto di Milano, quello che si riflette nelle acque tranquille del Martesana, o Naviglio Piccolo, come lo chiamano i milanesi.
Ma cos’è e cosa è stato davvero il Martesana? Una via di commercio? Un luogo di villeggiatura fuori porta? O forse un archivio a cielo aperto della memoria urbana?
Che siate degli habitué del quartiere di Milano, che stiate pianificando la vostra prossima gita lungo il naviglio o… che siate semplicemente appassionati di storie, questo podcast ci aiuterà a conoscere meglio questo vivace angolo di Lombardia! 

Siete pronti? Partiamo! 

Il nostro viaggio alla scoperta del Martesana riprende lasciandoci alle spalle Cernusco sul Naviglio. Nei sei chilometri successivi, attraverseremo un paesaggio ricco di storia: giardini, parchi pubblici, piccoli borghi e antiche cascine che raccontano il passato di questa zona.

La prima tappa è Cassina de Pecchi, che incontriamo non appena superiamo il confine di Cernusco sul Naviglio. In questa località, vi consigliamo di prendere una piccola deviazione dal corso del naviglio per raggiungere via Trieste ed imbattervi in una torre nell’area di Cascina Casale.
No, non siamo nel medioevo: si tratta di un torrione seicentesco che probabilmente fungeva da casa padronale della cascina circostante. In tempi recenti, questo complesso è stato totalmente restaurato e adibito a centro culturale, con una biblioteca e un teatro di 170 posti: il Piccolo Teatro della Martesana. La torre, invece, ospita il Maio – Museo dell’Arte in Ostaggio. Un museo fuori dal comune, perché non parla di opere d’arte presenti, ma di opere che… non ci sono più! Raccoglie infatti la memoria digitale di oltre 1600 manufatti artistici italiani trafugati dai nazisti e non ancora ritrovati.

Ma torniamo sul Martesana e seguiamolo per un altro breve tratto, verso il paese di Bussero. Là è possibile ammirare Villa Sioli, una residenza nobiliare senza spazi per il lavoro agricolo, pensata principalmente per il riposo e lo svago. La villa ha una pianta a “U” con una corte d’onore, una corte rustica e un giardino. Tutte le stanze al piano terreno nell’ala ovest erano usate per la conversazione e il gioco da biliardo; mentre quelle nell’ala est erano adibite allo studio, al lavoro e al pranzo – cosa ne dite? Potrebbe essere la casa dei vostri sogni?
Nel 1723 il proprietario, Giuseppe Gorini Corio, aprì la villa ai letterati dell’epoca, tra questi furono assidui frequentatori i fratelli Pietro, Alessandro e Carlo Verri, esponenti della corrente italiana dell’illuminismo.

Riprendendo la ciclabile che costeggia il Martesana, arriviamo nel Comune di Gorgonzola, famoso il formaggio che porta il suo nome. Vi siete mai chiesti quale sia l’origine di questo appellativo così particolare? Secondo alcuni storici deriverebbe da Curt Argentiola, mentre per altri varrebbe la suggestiva ipotesi dell’esistenza di un piccolo tempio dedicato alla Dea Concordia, che avrebbe dato origine a “Concordiola”, da cui poi Gorgonzola.

Avvicinandoci al centro storico, vi accorgerete che il Naviglio disegna un’ansa che abbraccia l’abitato. La doppia ansa del naviglio ripercorre il tracciato del fossato di cerchia del borgo. A testimoniare la vita lungo il Martesana ci sono ponti dai nomi curiosi. Come il Ponte del Cadrigo, su via Erminio Giana, ed il Ponte di Poncerta, oggi passaggio in legno coperto, al termine di vicolo Corridoni. Il nome deriverebbe da “Pons incertus” , in contrada della Poncerta. Il ponte collegava il palazzo Serbelloni al borgo, in prossimità di una darsenetta privata sempre della famiglia Serbelloni.

Risalendo il Naviglio sulla sponda sinistra, troviamo l’ottocentesca chiesa Parrocchiale dei SS. Gervasio e Protasio, voluta dal Duca Gian Galeazzo Serbelloni e progettata dall’architetto Simone Cantoni. L’architetto non vide la fine della sua chiesa… ma la chiesa vide la fine del suo architetto! Infatti, come ricorda una lapide accanto all’edificio, Cantoni morì nel 1818 proprio durante una visita ai lavori. All’interno una sola navata, sostenuta da 44 colonne d’ordine corinzio, racchiude statue, bassorilievi e opere di importanti artisti, tra cui Benedetto Cacciatori, che dedicò a questa chiesa circa trent’anni di lavoro. Alcune sue sculture si trovano anche a Milano e decorano i bastioni di Porta Venezia e l’Arco della Pace.

Se dalla chiesa ci inoltriamo nel borgo antico di Gorgonzola in direzione nord-ovest, al numero 12 di via Piave è ancora parzialmente visibile la Corte dei Chiosi, una vecchia casa dell’ordine degli Umiliati del XIII secolo. Sulla stessa strada, proseguendo verso ovest, si trova il santuario della Madonna dell’Aiuto, un’antica chiesa di San Pietro chiamato così dall’inizio del XIX secolo per la devozione all’affresco miracoloso del santuario di Bobbio, donato a Gorgonzola dal vescovo di Bobbio. Al suo interno è conservato un altare del 1767 con un’immagine della Madonna. Qui, una volta, le monache lavoravano il lino e la lana, tessuti preziosi per l’economia locale.

Tornando verso il naviglio e attraversando il ponte coperto alla fine di Vicolo Filippo Corridoni, giungiamo davanti al Palazzo Sola Busca Serbelloni, la residenza estiva dei duchi Serbelloni. Il palazzo, con un corpo antico risalente al 1571, si collegava a una sciostra – un magazzino per legna e carbone – e aveva una piccola darsena per l’imbarco dei prodotti agricoli. Nella torre di epoca medioevale fu imprigionato Enzo, figlio naturale dell’imperatore del Sacro Romano Impero Federico II, catturato nel 1245 dopo esser sceso in Italia alla testa d’un esercito. Si ipotizza che la torre fosse  l’antico campanile della chiesa plebana, lo stesso che nel 1278 diede rifugio Ottone Visconti braccato dai Torriani.

A cavallo tra il Due e Trecento, Gorgonzola fu anche testimone di violenze durante la lotta tra Visconti e Torriani. Dopo varie vicissitudini, nel Seicento, la città passò al Generale Gabriele Cerbellon, nome poi volgarizzato in Serbelloni. Due secoli più tardi, a inizio Ottocento, il suo discendente Gian Galeazzo donò a Gorgonzola un cospicuo capitale per la costruzione della Chiesa parrocchiale dei Santi Protasio e Gervasio e del nuovo Palazzo Serbelloni, destinato a diventare l’ospedale di Gorgonzola. L’ospedale di Gorgonzola nacque come ospedale munifico donato alla popolazione per rispondere alle esigenze sanitarie del tempo.

Tra i frequentatori della famiglia Serbelloni c’è stato il poeta satirico Giuseppe Parini, che dal 1754 fu il precettore dei figli di Maria Vittoria Serbelloni. Pare che il motivo dell’improvvisa rottura tra il letterato e la famiglia, avvenuta nel 1762, fosse stato lo schiaffo che la duchessa diede alla giovane figlia del musicista Giovanni Battista Sammartini e che il Parini avesse fortemente disapprovato. L’accaduto avrebbe poi ispirato al Parini “La vergine cuccia”, uno degli episodi più celebri del pometto “Il giorno”. A questi stessi anni risalgono anche le odi “La vita rustica” e “La salubrità dell’aria”, direttamente ispirate alla campagna.

Accanto al palazzo Sola Busca Serbelloni, il parco Sola-Cabiati offre una pausa tranquilla con la peschiera circolare, statue e cancelli in stile giardino all’italiana, tanto in voga nel Settecento. Alla fine dell’800 risalgono invece elementi romantici come il laghetto e la collina Belvedere. Donato al Comune nel 1967, è oggi uno spazio pubblico in cui godere del silenzio del luogo.

Attraversando il naviglio e inoltrandoci nel paese in direzione nord, arriviamo al quartiere liberty tra le vie Matteotti, Mazzini, Roma, Pessina e Oberdan dove possiamo ancora ammirare ville borghesi con giardini e case decorate con fregi floreali attorno alle finestre. Purtroppo, negli anni Sessanta e Settanta alcuni edifici sono stati demoliti per fare spazio a costruzioni più moderne.

Ritornando ad affacciarci sul Martesana e superata l’ansa del naviglio, girando a destra in via Molino Vecchio si trova, guarda caso, un mulino antico, di proprietà ducale nel 1490, che macinava cereali e semi oleosi, alimentato dalle acque della roggia Bescapera.

Ma adesso basta tergiversare e parliamo di quello che tutti stavano aspettando… perché quando si dice Gorgonzola… si dice formaggio! È infatti questa la patria di uno dei più celebri formaggi italiani. Anzi di due!
Anni fa, proprio in questi luoghi passava la transumanza delle vacche che dai montuosi pascoli estivi scendevano verso quelli invernali in pianura. Le giovenche stracche per il lungo viaggio -come si usava dire allora in dialetto – producevano un latte con cui si preparava, appunto, il formaggio stracco: una pasta fresca che conosciamo oggi come Gorgonzola.
Lo stracchino, lasciato stagionare nelle cantine in particolari condizioni, sviluppava delle muffe commestibili, trasformandosi così in una nuova specialità: era nato il gorgonzola!
Forse i primi tentativi furono incerti e poco conservabili, ma il risultato finale ha conquistato il mondo. Si racconta che Winston Churchill – ghiotto di gorgonzola oltre che di alcoolici e sigari – avesse raccomandato ai piloti della RAF di risparmiare le zone di produzione del gorgonzola. Leggenda o verità?

Proseguendo il nostro percorso passiamo per il comune di Gessate. Qui merita fare un’altra piccola deviazione per visitare villa Daccò, dove ha sede l’Ecomuseo Martesana. La villa costruita nel 1835 apparteneva ai Daccò, un ramo della famiglia Beccaria. Non a caso, nel Settecento il giurista e illuminista Cesare Beccaria possedeva la villa Beccaria di manzoniana memoria. Negli ultimi anni della sua vita Cesare Beccaria mise in pratica le riforme che aveva auspicato nei suoi studi di economia: riqualificò i boschi, potenziò l’allevamento del bestiame, specializzò la viticoltura e promosse la coltura del gelso, fondamentale per l’industria della seta.

Oggi la villa è di proprietà comunale ed è aperta al pubblico. Particolarmente rinomato è il salone d’onore che conserva un camino in marmo rosato e il pavimento originale in cotto bicolore. Circondata da un parco all’inglese, è un luogo ideale per immergersi nella storia e nella calma del Martesana.

Così si chiude anche questa tappa del nostro viaggio lungo il Martesana. Nel prossimo episodio lasceremo Gessate per spingerci ancora più a est fino a Inzago, dove il naviglio si fa più silenzioso e il paesaggio conserva intatta la memoria contadina, tra mulini e ville dimenticate.

Vi aspettiamo lungo il naviglio!

Avete ascoltato “C’era una volta il Naviglio Piccolo”, podcast realizzato da AT Media S.r.l. in collaborazione con l’Ecomuseo Martesana nell’ambito del progetto “ECOSISTEMA DIGITALE MARTESANA: TRA MEMORIA, INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ”.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio, musica e postproduzione a cura di eArs. 

Si ringrazia la Regione Lombardia. Iniziativa realizzata con il contributo del Programma FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale di Regione Lombardia 

EPISODIO 4
DA VILLA FORNACI A INZAGO

Il nostro viaggio lungo il Naviglio Martesana termina tra Villa Fornaci e Inzago, esplorando la storia industriale delle antiche fornaci, i segreti della navigazione attraverso le conche idrauliche, aneddoti della storica tranvia a vapore e la ricchezza architettonica e spirituale dei luoghi, fino ad arrivare a Inzago, soprannominato il “Borgo delle Ville”. 

LEGGI LA TRASCRIZIONE

C’è un corso d’acqua che scorre silenzioso nella zona nord-est di Milano. Unisce quartieri e borghi, attraversa epoche, custodisce storie. È il Naviglio Martesana.
Questo è C’era una volta il Naviglio Piccolo, un viaggio che ci porterà alla scoperta di un lato meno conosciuto di Milano, quello che si riflette nelle acque tranquille del Martesana, o Naviglio Piccolo, come lo chiamano i milanesi.
Ma cos’è e cosa è stato davvero il Martesana? Una via di commercio? Un luogo di villeggiatura fuori porta? O forse un archivio a cielo aperto della memoria urbana?
Che siate degli habitué del quartiere di Milano, che stiate pianificando la vostra prossima gita lungo il naviglio o… che siate semplicemente appassionati di storie, questo podcast ci aiuterà a conoscere meglio questo vivace angolo di Lombardia! 

Siete pronti? Partiamo! 

Eccoci all’ultima tappa del nostro viaggio alla scoperta del Naviglio Martesana. Dopo aver attraversato borghi operosi e paesaggi silenziosi, corti contadine, ville nobiliari e vecchi opifici, riprendiamo il cammino dalla località di Villa Fornaci. Il nome stesso racconta il passato di questo luogo: qui c’erano gli antichi forni per la lavorazione dei mattoni. I primi erano i cosiddetti forni a pignone, a fuoco fisso. Poi, a metà Ottocento, arrivò la rivoluzione: il forno Hoffmann.  L’invenzione prende il nome dal suo ideatore, l’architetto prussiano Friedrich Hoffmann, che introdusse nei suoi forni un sistema a ciclo continuo di cottura dei mattoni. Un anello di camere alternate in cui si cuocevano e raffreddavano i mattoni senza mai spegnere il fuoco. Una svolta tecnica che trasformò per sempre l’industria dei laterizi, aprendo la strada a una produzione su scala industriale.

Non lontano, nello stesso tratto del Naviglio, troviamo la conca idraulica di Villa Fornaci, un ingegnoso meccanismo idraulico che permetteva alle barche di superare i dislivelli lungo il corso d’acqua. Infatti, la presenza di forti differenze di altezza nei vari punti del canale avrebbe ostacolato il passaggio delle barche da un livello all’altro delle acque.

Il suo funzionamento si basa sul principio dei vasi comunicanti: aprendo e chiudendo le chiuse, il livello dell’acqua nella conca sale o scende – a seconda della direzione di marcia – permettendo alle imbarcazioni di muoversi per il naviglio.

Il progetto ingegneristico della conca idraulica è spesso attribuito a Leonardo da Vinci, ma in realtà era già in uso prima del suo arrivo a Milano. A Leonardo vanno piuttosto attribuiti alcuni miglioramenti che resero il passaggio dell’acqua più fluido e meno rovinoso: la cosiddetta “conca vinciana”.

Proprio da Villa Fornaci per molti anni ha transitato un mezzo pieno di fascino e fuliggine: il Tranvai di Vaver (Vaprio), la prima tranvia a vapore sulla linea Milano-Gorgonzola-Vaprio, inaugurata il 6 giugno 1878. Dopo il tratto urbano che aveva inizio a Milano, a pochi metri dall’attuale piazza Oberdan, la linea giungeva a Crescenzago, si accostava al Naviglio Martesana e sferragliando attraversava i paesi di Vimodrone, Cernusco sul Naviglio, Cassina de’ Pecchi, Gorgonzola, Villa Fornaci, Bettola e Vaprio.

I viaggi sui tranvai erano spesso memorabili e i viaggiatori dovevano affrontare i più svariati imprevisti –  soprattutto prima dell’inaugurazione del tram a vapore, quando il mezzo era ancora a traino animale. Protagonista indiscusso di queste avventure era il “Battipaglia”, l’uomo tuttofare addetto alla pulizia delle lettiere dei cavalli, all’asportazione dello sterco e allo spargimento della paglia sul selciato. Il termine è poi rimasto in uso anche successivamente, a designare colui che, in caso di assenza del conducente o del bigliettaio, doveva sostituire il titolare del servizio.

Per entrare e uscire dalle vetture si usavano piccoli terrazzini posti all’entrata delle carrozze, ma quando l’affluenza dei viaggiatori era superiore alla capienza, ci si stringeva sugli stessi terrazzini sotto una pioggia di fuliggine e tizzoni che dall’alto del fumaiolo cadevano sui malcapitati. Per ovviare a questo inconveniente vennero introdotti dei teloni di canapa, utili anche in caso di pioggia.

A partire dal secondo dopoguerra, sotto la pressione delle insistenze del parroco di uno dei paesi toccati dalla linea, venne introdotta una carrozza ad uso esclusivo delle signore. Tuttavia l’esperimento fu subito accantonato nel giro di pochi giorni, non si sa se per le proteste delle donne o per quelle degli uomini.

Proseguendo lungo l’alzaia del naviglio in direzione est, dopo una ventina di minuti di passeggiata si arriva a Cascina Monasterolo, costruita sulle fondamenta di un antico convento adibito a luogo di convalescenza per i monaci e poi concesso nel 1489 ai Frati di S. Maria Incoronata di Milano. Il monastero fu soppresso nel 1770 dagli Asburgo, ma mantenne il privilegio – per decreto di Maria Teresa d’Austria – di prelevare acqua dal Naviglio.

Alla cascina è annessa la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, costruita alla fine del Quattrocento. Al suo interno è conservata una preziosa Madonna col bambino, detta Madonna del latte, perché è rappresentata mentre allatta il bambino. È attribuita molto probabilmente al Maestro della Pala Sforzesca, dai più identificato nel pittore rinascimentale Giovanni Angelo Mirofoli da Seregno.

Continuiamo la nostra esplorazione del lato “sacro” del Martesana e arriviamo a Inzago. Ci inoltriamo nel paese in direzione nord per arrivare al Santuario della Beata Vergine del Pilastrello: la sua fondazione ha del miracoloso. Accadde che durante una grande siccità, i fedeli, raccolti in preghiera davanti alla cappellina della Madonna delle anime del Purgatorio, videro improvvisamente sgorgare dal terreno una copiosa sorgente d’acqua. Si decise dunque di costruire una cappella in quel luogo. Al suo interno uno dei  quadretti degli ex voto, racconta il drammatico episodio di una donna, caduta in un canale e in procinto di annegare. In suo soccorso si tuffa prontamente un uomo mentre la Madonna del Pilastrello, circonfusa di luce, veglia sulla scena. Sopra l’altare fa bella mostra di sé un dipinto della Madonna.

Ritornando verso il centro, facciamo tappa nella chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta, in piazza XXV Aprile. Qui, dietro l’altare maggiore, si conserva un oggetto straordinario: la Sacra Sindone d’Inzago. Un telo di seta lungo oltre quattro metri e largo 63 cm, sul quale è impressa l’immagine frontale e dorsale di un corpo martoriato, simile alla più famosa Sindone di Torino. Fu donata da Emanuele Filiberto di Savoia a San Carlo Borromeo nel 1578, quando quest’ultimo si recò a piedi a Torino per venerare la sacra Sindone e sciogliere il voto fatto durante la peste che due anni prima aveva colpito Milano. Passarono gli anni, San Carlo morì e la reliquia restò al suo segretario, Lodovico Moneta, che la portò nella sua villa ad Inzago. Oggi, viene esposta ogni anno durante la Pasqua. All’interno della chiesa, si trova una statua lignea barocca della Madonna del Rosario, opera dell’Antignati.

Inzago è terra di palazzi fra i più imponenti del Martesana. Palazzo Policastro Piola, oggi sede del Municipio, risale al 1694. Seguono villa Imbonati-Brambilla di Civesio, villa Cornaggia Medici, villa del Maino con il suo giardino, e la scenografica villa Facheris, con la sua facciata eclettica e la cancellata in ferro battuto, realizzata da Angelo Cremonesi ispirandosi al maestro del liberty Alessandro Mazzucotelli. Gli edifici rustici di questa dimora, che danno su via Cavour, furono ceduti al Comune che vi realizzò la sede della Biblioteca Comunale. Il resto della costruzione fu venduto alla Cassa Rurale di Inzago che l’adibì a sede di un istituto bancario, mentre il giardino fu donato all’uso pubblico. La Banca acquistò successivamente anche l’edificio della ex biblioteca, ricostituendo così l’unità di villa Facheris.

Ritornando da villa Facheris sulle sponde del Martesana, scrutando nelle acque del naviglio, potremmo scorgere il riflesso di un’alta torre bianca ottagonale. È la famosa torre di villa Ajtelli. Questo complesso ha una storia antica: nel 1500 fu la residenza degli Umiliati, un ordine laico dedito alla preghiera e alla produzione della lana. Successivamente divenne la dimora privata delle famiglie nobili della zona. Nonostante possa ricordare un campanile, la torre non è legata all’origine religiosa del luogo, ma si tratta anzi di un’aggiunta ottocentesca.

Certo, ci troviamo proprio nel “Borgo delle Ville”: pensate che delle 80 ville di delizia presenti lungo tutto il Martesana, Inzago ne ospita ben 15!

Lasciato Inzago, tra dimore, chiese e vecchie storie da raccontare il nostro cammino prosegue lungo il naviglio Martesana per altri 12 km, fino a raggiungere Trezzo sull’Adda – quest’ultimo tratto è parte dell’Ecomuseo Adda di Leonardo.

Noi, tuttavia, ci fermeremo qui per il momento. Abbiamo attraversato paesi, incontrato personaggi curiosi, scoperto angoli nascosti e riscoperto luoghi familiari con occhi nuovi. Dopo tutta questa strada è giunto il momento di salutarci.
Grazie per aver camminato con noi lungo il Naviglio Martesana.

Alla prossima avventura!

Avete ascoltato “C’era una volta il Naviglio Piccolo”, podcast realizzato da AT Media S.r.l. in collaborazione con l’Ecomuseo Martesana nell’ambito del progetto “ECOSISTEMA DIGITALE MARTESANA: TRA MEMORIA, INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ”.
Progettazione e produzione di testi, speakeraggio, musica e postproduzione a cura di eArs. 

Si ringrazia la Regione Lombardia. Iniziativa realizzata con il contributo del Programma FESR, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale di Regione Lombardia