I boschi e le brugherie delle terre asciutte
Paesaggi perduti e biodiversità resistenti nell’area del Naviglio Martesana settentrionale
Nel cuore dell’alta pianura lombarda, a nord del Naviglio Martesana, si estendeva un tempo un paesaggio fatto di boschi d’alto fusto e brughiere aperte, segnato da suoli asciutti, poveri di sostanze nutritive e dalla presenza limitata d’acqua in superficie. Fino alla metà del Settecento, queste terre erano ricoperte da foreste spontanee, che occupavano una porzione rilevante del territorio oggi profondamente trasformato dall’agricoltura e dall’urbanizzazione.
La foresta originaria: Rovere, Farnia, Carpino
Il manto forestale dell’epoca preindustriale era composto principalmente da essenze autoctone di latifoglie, tra cui:
• Rovere (Quercus petraea)
• Farnia (Quercus robur)
• Carpino bianco (Carpinus betulus)
• Castagno (Castanea sativa)
Questi alberi costituivano la struttura portante di una foresta di alto fusto, capace di offrire ombra, legname e sostegno all’equilibrio ecologico della zona. I boschi erano interrotti da radure erbose, sentieri, e a volte piccole zone umide residue, che garantivano una notevole varietà di habitat.
L’espansione della brughiera
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, si osserva un progressivo ridimensionamento delle aree forestali, a favore della brughiera: un paesaggio semi-naturale caratterizzato da vegetazione arbustiva, prati aridi, eriche e pochi alberi sparsi. Questa trasformazione fu incentivata sia dalle pratiche agricole, sia dalla raccolta massiccia di legname per l’uso domestico e industriale.
La brughiera si affermò come ecosistema tipico delle terre asciutte del Martesana: suoli magri, sabbiosi o ghiaiosi, con scarsa ritenzione idrica e pochi nutrienti. Le piante che vi crescevano erano fortemente adattate alla siccità e al sole diretto.
L’arrivo della Robinia
Tra il XIX e il XX secolo, una nuova specie forestale divenne sempre più comune nella zona: la Robinia pseudoacacia, introdotta dall’America e diffusa in Italia per scopi ornamentali, forestali e produttivi. Nei terreni poveri e degradati dell’alta pianura, la robinia trovò un habitat ideale grazie alla sua capacità di:
• Crescere rapidamente anche in suoli sterili
• Migliorare il terreno attraverso la fissazione dell’azoto
• Colonizzare le aree abbandonate o disturbate
Benché non autoctona, la robinia è oggi parte integrante del paesaggio vegetale del Martesana settentrionale, dove costituisce boschetti secondari e macchie miste accanto ad arbusti come il sambuco, il biancospino e la rosa canina.
Un paesaggio in equilibrio tra naturale e antropico
I boschi e le brughiere delle terre asciutte rappresentano oggi una memoria viva del paesaggio originario. Frammenti di queste formazioni sono ancora visibili in aree residuali, ai margini di campi agricoli, lungo i sentieri rurali o nelle zone golenali del fiume Adda.
In un contesto fortemente trasformato dall’edilizia e dalla meccanizzazione agricola, questi ambienti conservano un valore ecologico e culturale cruciale: offrono rifugio a numerose specie di fauna selvatica, custodiscono biodiversità vegetale locale e raccontano la storia profonda dell’interazione tra uomo e ambiente.